Arte e Chaos

Vorrei dedicare queste poche righe a quella vile accozzaglia di imbellettati ignoranti, occupati a tempo pieno a condurre l’ “eutanasia” dei beni culturali e artistici di questo miserando Paese, perché dedichino una maggiore attenzione alle innumerevoli ricchezze di cui, nonostante il loro passaggio, questa nazione è ancora ricca.

Se interrompessero, per qualche istante, il famelico impegno con cui si dedicano a spolpare le ossa della carogna di questa povera nazione, anche a loro, potrebbe essere elargita, da una benevola e dimentica natura, la possibilità di evolversi dallo stadio di parassiti infestanti a quello di innocui batteri non patogeni. Queste orde vandaliche potrebbero così interrompere l’opera di razzia dei beni economici, culturali, artistici, paesaggisti, a cui si dedicano a tempo pieno, ormai da alcuni decenni.

Anche a loro, pur al livello cloacale in cui amano sguazzare, l’arte potrebbe fornire un momento di disvelamento della loro natura fecale e, attraverso di essa, condurli ad un nuovo livello di coscienza ed elevarli, in tal modo, al di sopra del liquame nel quale hanno costituito la loro dimora morale.

Wer die Schönheit angeschaut mit Augen,

ist dem Tode schon anheimgegeben.

Chi guarda la bellezza con gli occhi,

si è già consegnato alla morte.

[August von Platen, Tristan]

Dare forma al chaos. Accendere un bagliore di luce sul baratro a cui si affacciano i nostri spiriti solitari. Sprofondarci nello zaubertrauer; il lutto incantato, condizione della katharsis. Il magico dolore del disvelamento. L’aletheia che ci supera, che va oltre noi stessi.

Il suo modo d’essere specifico è «dare forma al chaos».

Cos’è una grande opera d’arte, un capolavoro? Qual’è il suo specifico modo d’essere? E ancora, qual’è il rapporto del soggetto compenetrato dall’opera d’arte?

L’essere è insieme Chaos e Cosmo. Per gli esseri umani il Chaos è in generale rappresentato dall’esistenza quotidiana.

La grande arte dà forma al caos. E mentre gli dà forma, lo disvela e nello stesso tempo, grazie a quella forma disvelata, crea un Cosmo.

Disvelamento del Caos; perché la grande arte lacera le evidenze quotidiane, il corso normale della vita.

Per chi ama e capisce la musica che ascolta o il dipinto che contempla, il tempo abituale e la quotidianità si spezzano, per sublimare i frammenti e ricomporli in nuovi formanti. È l’arte che opera il disvelamento per mezzo di quel dare forma che è la creazione di un Cosmo. Un Cosmo formato dai frammenti sublimati e ricomposti.

La vera opera d’arte non presenta mai esclusivamente sé stessa, ma un Cosmo dentro al Chaos.

La sola mimesis presente nell’arte è quella dell’essere in generale e, come l’essere, anche l’arte è vis formandi. C’è potenza creatrice, c’è capacità di dare forma, ma non è una mimesis specifica: la danza, l’architettura, la musica non imitano niente, bensì creano un mondo. La musica imitativa è palesemente la variante più mediocre della musica.

Quando Beethoven ha scritto la sinfonia “Pastorale”, si è premurato di precisare che “si trattava di esprimere un sentimento e non di fare della pittura”. Non si tratta quindi di ritrarre la pastoralità, ma il sentire panico dell’uomo immerso nella natura.

Si può allora affermare che la mimesis si operi sui sentimenti umani?

La musica fa esistere i sentimenti o, meglio ancora, dà loro una forma che non esiste altrove. Chi ha mai provato prima quello che sente ascoltando la Nona Sinfonia di Mahler? Questa sinfonia (è solo uno degli innumerevoli esempi che potrei fare) crea un sentimento assolutamente unico, che potremmo cercare, bene o male, di accostare, banalmente ma sinceramente, a quello che conosciamo, parlando di tristezza, di solitudine, di abbandono, di sconforto, di delusione, di senso della morte o di qualche altro misero equivalente semantico. Ma questo è un sentimento “creato” dalla musica stessa. Non ha equivalenti ai quali fare riferimento. Anche questo è dare forma al Chaos.

La grande letteratura, come la grande pittura, fa vedere qualcosa che c’era, che era lì ma che nessuno vedeva. Ecco aletheia, il disvelamento. Nello stesso tempo fa esistere ciò che non c’era e che esiste appunto solo in funzione di essa. Ecco la forma del chaos; il cosmo.

È vero per la pittura o la musica, ma anche per la danza, per la grande architettura. Pensiamo ad un romanzo come Il castello di Kafka. Nessuno di noi ha mai vissuto in un mondo come quello. Ma tutti l’abbiamo abitato, una volta che avremo letto il romanzo.

Disvelamento e forma. Chaos e Cosmo.

Prendiamo una fotografia, per esempio, che può essere dozzinale o bellissima. In questa forma di espressione artistica, che ha saputo raggiungere vette espressive altissime, si rivela con estrema evidenza la contrapposizione tra mimesis e katharsis. Certe fotografie sono grandi opere d’arte (esse, come le altre, frutto di un medesimo processo meccanico); altre (immagini turistiche, di gruppi familiari, di matrimoni, di feste) sono una sorta di mimesis; una copia, più o meno riuscita, di ciò che si trovava davanti all’obiettivo nell’istante dello scatto.

Sicuramente il fine della tragedia è la katharsis e non la mimesis. Ma, anche per le altre arti la katharsis è di fondamentale importanza.

Katharsis è un termine squisitamente medico. Sull’Index Aristotelicus di Bonitz si trovano due colonne sull’impiego del termine in un contesto medico e solo dieci righe sulla sua utilizzazione nella Poetica. La katharsis è la purga, l’eliminazione degli umori cattivi. Non è un caso, però, che Aristotele usi proprio questa parola per indicare “l’eliminazione” a cui lui si riferiva e che si opera attraverso i potenti stimoli di “pietà e terrore”, che sono evidentemente sentimenti.

Quali sono dunque gli umori di cui liberarsi? Sono tutte le passioni, si potrebbe dire le compassioni, dello spettatore mentre si svolge l’azione. C’è una certa distanza, che permette che la tragedia abbia il suo effetto, senza che ci sia “verfremdung”, straniamento, con buona pace di Bertold Brecht. Il susseguirsi in crescendo di terrore e pietà sfocia nella purificazione. Ora, la finalità della tragedia è appunto questa katharsis; la purificazione, l’epurazione delle passioni attraverso la pietà e il terrore. La mimesis, anche quando è presente, è un semplice mezzo.

La vera arte non è neppure fenomenica. Essa è trasparente; rimanda a qualcos’altro. Il fenomeno (o l’epi-fenomeno, come la musica) è l’elemento fisico, ma l’opera d’arte è ciò che si situa “al di là” del puro fenomeno. Ed è questo che determina la katharsis. La scarica. Lo svuotamento (viscerale o meno che sia).

Davanti all’opera d’arte si prova un piacere che non ha alcuna relazione con il fatto di aver mangiato bene, di aver guadagnato dei soldi, di aver fatto sesso. Il piacere estetico non è legato al desiderio. Il vero piacere del godimento artistico non prevede il possesso. La soddisfazione è puramente disinteressata: uninteressierte Wohlgefallen.

Sono il senso dell’a-senso e l’a-senso del senso che si palesano nell’arte, come una finestra sull’Abisso, sul Caos e il dare forma a quell’Abisso è appunto il momento del senso, la creazione di un Cosmo attraverso l’arte. Così la grande arte non poò più essere fenomenica; diviene trasparente. Nulla si cela e tutto si rivela. Per questo nella grande arte non c’è fenomenalità, ma trasparenza assoluta.

E alla fine (ecco l’estensione psicoanalitica della funzione catartica) c’è la “versöhnung” (un termine che Freud impiega in un contesto differente); una sorta di riconciliazione, di riappacificazione con la fine del desiderio.

Lascia un commento