Bayreuth 1876 – Genesi di un mito

Nella sterminata e talvolta immotivata produzione letteraria contemporanea, complice della perniciosa distruzione di parte della flora terrestre, viene subito da chiedersi se, nel generale olocausto arboreo, il sacrificio di una parte di tali vittime sia giustificata da un altro libro su Wagner.

Mentre tento, in ambientalistica pienezza di cuore e levità di mente, di sottoporre ad un’onesta meditazione il dilemma che, come autore del presente libro, mi attanaglia, rievoco i motivi che mi hanno indotto al lavoro, prettamente cronachistico, col quale ho riempito il mezzo migliaio di pagine che faranno seguito alla mia introduzione.

Potrei dire che, anche nel mio caso come in quello degl’infelici e danteschi Paolo e Francesca, “galeotto fu il libro e chi lo scrisse”, in quanto mi era accaduto di rimanere letteralmente affascinato dalla lettura delle memorie di Lilli Lehmann, la mitica soprano, interprete del personaggio di Woglinde nella prima rappresentazione del Ring a Bayreuth nel 1876, nelle quali la cantante raccontava della straordinaria esperienza umana e professionale da lei vissuta in quel periodo.

La bellezza e la genuina spontaneità del suo racconto mi avevano profon- damente colpito. Ma ancor più mi aveva coinvolto l’entusiasmo che quelle stesse pagine esalavano come un fluido incantatore e quel profondo senso di rispetto che da esse emanava per un uomo, unito alla devozione artistica che, in quello scritto, si evinceva chiaramente per l’opera di questi. Tale contagioso entusiasmo doveva, in prima istanza, spingermi ad un’azione che, a sua volta, avrebbe prodotto due considerazioni dalle fatali conseguenze.

L’azione, supportata dal suddetto entusiasmo, era quella di impegnarmi nella ricerca di altre testimonianze di coloro che avessero partecipato, in vario modo, a quel fondamentale evento artistico, che aveva avuto luogo in quella precisa porzione di mondo e in quello specifico scorcio di tempo.

La ricerca non si sarebbe rivelata semplicissima poiché alle varie testimo- nianze che via via rinvenivo, in molti casi, non era stata attribuita soverchia importanza, lasciando così che tali voci, provenienti dalle più disparate regioni della terra, venissero occultate dal velo di polvere che il tempo usa stendere, sia sulle parole, che sui loro autori.

Tutte le testimonianze che mi si andavano rivelando, condividevano anche una medesima paradossale quanto inaccettabile condizione: nessuna di esse era mai assurta alla dignità di riprender vita nell’italico idioma.

Questa doveva essere la prima delle fatali constatazioni.

Così, pian piano, come in un improvvisato convito, cominciavano a fare la loro apparizione, assieme a coloro che già da qualche tempo avevano preso posto alla mia tavola, come Lilli Lehmann, Heinrich Porges, Eduard Schuré, Eduard Hanslick, Richard Fricke e Carl Emil Doepler, fondamentali documentatori di quel periodo, anche un notevole numero di nuovi e improvvisati commensali, il cui nome mi era stato, fino a quel momento, perfettamente sconosciuto, come Julius Hey, Joseph Bennett, James William Davison, Wilhelm Marr, Gustav Engel, Karl Frenzel, Daniel Spitzer ed altri ancora, più una pletora di musicisti che, per mia fortuna, dopo la loro visita a Bayreuth si erano premurati di lasciare una breve o lunga memoria scritta della loro esperienza, vissuta, più che altro, al servizio della loro umanissima curiosità.

Una curiosità che li aveva spinti, dalle lande americane, irlandesi, inglesi, francesi, norvegesi, tedesche, italiane o russe, fino a Bayreuth per vedere ed ascoltare il risultato artistico di quella nuova concezione poetico–musicale, che un compositore, rivoluzionario a tempo determinato e visionario a tempo indeterminato, era stato in grado di concepire.

Orbene, proprio la constatazione dell’elevato numero di personaggi che si accalcavano per prender parte al convito, pur molto parcamente imbandito, mi andava sempre più convincendo di essere riuscito a richiamare, dai labirintici meandri del tempo, molti di coloro che erano stati presenti a Bayreuth in quei giorni e mi dava sempre più la certezza che una riunione così numerosa di testimoni di quell’evento non si fosse ancora mai verificata.

E questa si rivelava essere la seconda fatale considerazione.

Le due suddette constatazioni personali, supportate dal coinvolgente en- tusiasmo trasmessomi dalle loquaci testimonianze dei convenuti, alimentato vieppiù dal mio sincero interesse per le loro parole, unitesi in una piccola e gradevole congiura, si sono appropriati di un paio d’anni della mia inquieta esistenza per concedermi l’onore e la profonda emozione di potermi me- ritare, sia la condivisione della mensa di queste vivaci menti, sia un posto a sedere su degli scomodi sedili, fatti di un tormentante canniccio, in un auditorium scevro di orpelli, con un’acustica strana quanto affascinante, per assistere alla rappresentazione, umana, poetica ed artistica, dentro (ma an- che fuori) i luoghi deputati alla musica che, in quei giorni intensi e gloriosi come lo furono pochi altri nella storia dell’arte, si stava allestendo in una remota cittadina al centro della Germania.

Questo testo, dunque, si offre come un mosaico, le cui tessere, costituite dalle varie testimonianze dei partecipanti all’evento, cercano di ricomporre l’immagine, quanto più fedele possibile, di ciò che è accaduto in quei mesi dell’estate dei due anni  e , comprendendo, con particolare riguardo a quest’ultimo anno, anche tutte le reazioni, umane, professionali, cronachistiche, scandalistiche, trascinanti, ironiche, ridicolizzanti, intense, sofferte, gloriose e mai banali che l’evento di Bayreuth aveva scatenato nel mondo dell’arte nella sua globalità.

Il testo, nei limiti delle possibilità offerte da un’ipotetica traslazione temporale, consente di trasferirsi in quegli afosi giorni nei quali, al coraggio e all’entusiasmo di volonterosi pionieri, si contrapponevano una serie di difficoltà oggettive, che giungevano fino all’imposizione di drastici regimi alimentari, per l’oggettiva impossibilità di esaudire le richieste di cibo e bevande per tutti i convenuti a quella kermesse artistica, come testimoniato, per citare una voce tra le molte, da Piotr Ilic Tchaikovsky nelle sue lettere al fratello Modest.

Questo scritto si propone anche di fornire un elenco, senza la pretesa che esso sia completo ed esaustivo, dei molti presenti a Bayreuth in quei diciotto giorni, dal 13 al 30 agosto 1876, nei quali si ebbero le dodici rappresentazioni del Ring, fornendo di essi, laddove possibile, anche un brevissimo espunto caratterizzante che viene convogliato in un Indice analitico e in una corposa Appendice micro–biografica al termine del testo.

Personalmente, a seguito di questa breve, ma onesta, meditazione, credo che l’unica spinta ad acconsentire al sacrificio di una pur piccola parte della flora terrestre, immolata alla pubblicazione di questo mio scritto sia la speranza che esso possa costituire un ulteriore tassello per la comprensione di quanto accaduto in un luogo e in un tempo nel quale si è verificato uno dei più grandi sconvolgimenti tellurici nella storia dell’arte poetica, musicale e teatrale di tutti i tempi.

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