Basta! E ora di finirla!

Non mi è facile trovare il modo giusto di iniziare e dunque lo farò nel modo più semplice e immediato, anche se forse non il più corretto.

Il questo mese di febbraio, invitato da un amico ad assistere ad un concerto nella mia città, Milano, ho avuto l’occasione di essere testimone all’ennesima “impostura” messa in atto da chi organizza i concerti ai danni di un pubblico “incapace di intendere e di volere” che inghiotte ogni cosa non sapendo fare distinzione tra lo sterco di jak e una torta St. Honoré.

Nel suddetto concerto, tenuto da quella che potrebbe essere una decorosissima orchestra, si sarebbe dovuto ascoltare il Requiem di Mozart e quello di Silvia Colasanti, dal titolo “Stringeranno nei pugni una cometa”.

Per quanto riguarda l’esecuzione del Requiem di Mozart, posso affermare senza ombra di dubbio che essa sia stata la peggiore mai ascoltata nella mia pur lunga vita.

Mi affretto, però, ad affermare che non ritengo responsabile di tale pessima esecuzione l’orchestra, bensì quel giovane francese che, pur essendo chiamato a far parte della (purtroppo) non più nobile categoria dei direttori d’orchestra (categoria alla quale sono appartenuti Carlos Kleiber, Leonard Bernstein, Herbert von Karajan, Wilhelm Furtwängler, Hans Knappertsbusch e altri), si è rivelato molto più che incapace di svolgere il compito affidatogli, bensì assolutamente e perniciosamente dannoso.

Personalmente non so, e non voglio sapere, in qual modo e da chi tali direttori d’orchestra vengano scelti, ma se dovessi immaginarmelo lo vedrei sotto le luci del tendone di un circo, mentre, al suono della banda, passano in rassegna i clown o, per usare un termine più nostrano, i pagliacci. Peccato che essi, posti ad assolvere compiti che non gli competono, non risultino per nulla divertenti, bensì profondamente ed irritantemente indisponenti.

Quello che ha tentato, nell’occasione di cui vi sto parlando, di dirigere l’orchestra nei due Requiem in programma, più che un direttore d’orchestra, sembrava un uccello a cui fosse rimasta impigliata una zampina in una trappola per topolini e che tentava in ogni modo di liberarsi per riprendere il volo e scapparsene lontano.

Devo dire che anch’io, vedendolo, mi agitavo non poco e avrei voluto scappare da quegl’istanti di artistico dolore.

Peccato che durante il suo goffo tentativo di liberarsi dalla trappola in cui si era venuto a trovare, il giovane francese avesse di fronte a sé un’orchestra e un coro che, a causa sua, mostravano i limiti di una concertazione e di una direzione alquanto infelice e lacunosa.

Il giovane rappresentante di quella strana arte circense, che si sbracciava come un invasato nel tentativo di entrare a far parte della categoria dei “circonductors”, mostrava apertamente di non avere acquisito alcuna base tecnica dell’arte direttoriale.

Per me, che ho dedicato gran parte della vita a tale arte, avendola appresa dai grandissimi e avendone approfondito la tecnica del completo dominio corporeo, la mistica del rapporto con lo spazio sonoro circostante e l’attenta e sincera ricostruzione spaziale della musica, un tale giovanotto dovrebbe prendere coscienza dei propri abissali limiti ed essere mandato ad impiegarsi in qualcosa di meno dannoso per l’umanità. Ammesso che vi possa riuscire.

Come ciliegina sulla squallida torta di ipocrisia musicale, lo pseudo-maestro ha voluto “misticheggiare gigionescamente”, dandosi arie da “guru del suono”, scimmiottando indecentemente, come oggi fa più d’uno, Claudio Abbado che, al termine di una Nona sinfonia di Mahler, tenne il pubblico in un mistico silenzio per oltre due minuti.

Evidentemente il giovane francese ha un ego talmente bulimico da ottundergli perfino la presa di coscienza dei suoi immensi ed invalicabili limiti.

È un vero peccato, perché continuando di questo passo, il pubblico italiano, facile preda di artistica confusione, vedrà scemare sempre più il livello qualitativo delle esecuzioni offertegli.

Concludo, poiché credo d’aver già sprecato troppi minuti del mio prezioso tempo, dicendo che quello di domenica è stato il terzo concerto al quale ho assistito con la medesima orchestra ed ho dovuto rendermi conto che il livello qualitativo dei direttori d’orchestra è, nel modo più assoluto, sotto il livello della decenza alla quale il rispetto di un pubblico, sia esso pagante o meno, dovrebbe essere assicurato, pena l’inarrestabile declino della qualità delle esecuzioni offerte alla gens italica.

Dimenticavo. Il Requiem della Colasanti che, al di là della direzione assai deficitaria, ho intuito essere assai dignitoso e pregno di intensa fascinazione sonora, mi è piaciuto, pur se il contenuto musicale in sé non fosse particolarmente ricco.

 

 

 

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